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Pubblicazioni

Un Passaggio Generazionale… Semplice!

La famiglia, l’impresa e il patrimonio sono i tre elementi caratterizzanti un Passaggio Generazionale; essi diventano al tempo stesso i suoi punti di forza, così come la causa di un suo eventuale insuccesso nel caso in cui non si riesca ad evitare la “sovrapposizione istituzionale” fra gli stessi.

Occorre essere bravi a fondere insieme le loro esigenze rispettando sempre i confini del loro perimetro naturale, come abbiamo ben spiegato nel precedente articolo.

Oltre alla clausole statutarie e ai patti sociali e parasociali, anche la società semplice può essere molto utile nell’impostare le relazioni impresa-famiglia-patrimonio, essendo un ottimo strumento alternativo alla sfera privata e alle società commerciali e salvaguardando allo stesso tempo il patrimonio che i familiari vi conferiscono.

Società Semplice: di nome e di fatto

La società semplice è già da diverso tempo un istituto giuridico utilizzato per la protezione patrimoniale e la pianificazione successoria.

Rappresenta la forma più elementare di società di persone e si caratterizza per la sua flessibilità, riservatezza (benché parziale) e malleabilità, caratteristiche che ne fanno uno strumento ottimale per la gestione di aziende familiari, assicurando la continuità d’impresa e la blindatura delle partecipazioni societarie nell’ottica di un controllo mantenuto all’interno della famiglia.

Tanto da essere stata usata per gestire imprese, patrimoni e successioni di famiglie facoltose e articolate, come nel caso della famiglia Agnelli.

Nel 1984 nasce una società semplice che vide tra i fondatori, oltre ad altri soci, Gianni e Umberto Agnelli e che fu chiamata Dicembre.

Una società che oggi è il contenitore del patrimonio degli Agnelli-Elkann e dalla quale si dipana la ragnatela di partecipazioni che hanno portato John Elkann a controllare un impero da 62 miliardi.

Molti pregi e pochi difetti

Il maggior pregio della società semplice sta proprio nella sua semplicità, sia per quanto attiene alla costituzione che al funzionamento.

Una prassi consolidata, pur rischiando una piccola ammenda, omette l’iscrizione della S.S. alla Sezione speciale del Registro Imprese, con l’obiettivo di garantire l’anonimato dei soci, dato che l’omessa iscrizione non incide né sull’esistenza della società, né sulla sua regolarità e sulla disciplina ad essa applicabile, ed in considerazione del fatto che – in questo caso – l’iscrizione è da effettuarsi su impulso dei soci.

L’atto costitutivo non è soggetto a formalità particolari, ma è richiesta almeno la forma scritta a seconda dei beni conferiti nella società.

Il funzionamento della società semplice si presenta molto snello: al pari delle altre società di persone non ha organi societari, dato che la legge non prevede l’assemblea dei soci. Per modificare l’atto costitutivo, il contratto di società, i patti della società, è necessario il consenso di tutti i soci, salvo diversa previsione dell’atto costitutivo stesso.

Nella società semplice l’elemento intuitu personae è centrale e questo ne fa uno strumento particolarmente apprezzato quando viene utilizzata come holding, laddove la stabilità e l’immodificabilità della governancesia un obiettivo primario rispetto ad altri, dato che la regola è la necessità del consenso unanime per ogni tipo di decisione.

In questo modo, la società semplice offre una garanzia, sia per la stabilità dei suoi assetti societari, sia per quanto concerne il suo patrimonio (mobiliare e immobiliare), dal momento che, ponendo il consenso come regola generale, si blinda l’ingresso a nuovi soci o ad operazioni di dismissione/acquisto di beni che non siano gradite a tutti.

Tuttavia, questa notevole rigidità ben può essere modulata, sia con appropriate clausole statutarie, sia con la possibilità di modellare autonomamente la liquidazione delle quote societarie.

In che modo questa rigidità diventa flessibile?

Le quote possono essere liquidate in base al valore del capitale apportato, anziché a quello di mercato.

Si può impedire agli eredi di entrare nella compagine sociale (clausola di consolidazione), piuttosto che consentire il trasferimento delle quote del defunto ad alcuni di loro e non ad altri.

Si può limitare la responsabilità societaria ad un solo socio o ad alcuni di essi, così come è possibile, attraverso lo statuto societario, destinare ruoli operativi ad uno o ad alcuni soci escludendo gli altri (è ciò che ha fatto Gianni Agnelli con il nipote John Elkann).

In ambito di Passaggio Generazionale, si può prevedere la limitazione del trasferimento delle quote sociali solo ad alcuni eredi “pilotando” di fatto la successione del patrimonio.

In un Passaggio Generazionale progettato qualche mese fa abbiamo intestato al padre e ai figli tutte le quote della società semplice, limitando la responsabilità della gestione ordinaria e straordinaria solo al padre: mentre quest’ultimo decide tutto a suo piacimento (assumendo tutti i rischi) e gode di tutte le rendite generate i figli, alla sua morte, si trovano già un patrimonio assegnato, senza “passare” dalla successione!

Il cliente aveva ancora un’altra esigenza: designare fin da subito uno dei figli quale futuro amministratore di una società partecipata (chiamiamola Edera Srl) dalla società semplice.

Ogni desiderio è un ordine, diceva qualcuno.

Ho consigliato al padre di cedere in donazione al figlio prescelto la nuda proprietà delle sue quote di Edera Srl, mantenendosi l’usufrutto.

Così facendo lui resta il socio amministratore e nel contempo designa il suo successore mettendolo già in condizione, alla sua morte, di subentrare al comando della società Edera Srl tramite l’acquisizione del pacchetto di maggioranza.

In questo modo il padre, grazie alla società semplice, ha tolto il controllo di Edera dalla sua successione, garantendone il Passaggio Generazionale secondo il suo desiderio.

Ma la quota è aggredibile?

Nasce poi un altro dubbio al cliente: visto che è una società di persone cosa rischiano i soci come responsabilità patrimoniale?

Dato che i soci esistenti non possono essere sostituiti, se non con il consenso unanime, le quote delle società semplice non possono essere oggetto di esecuzione forzata durante la vita della società.

Il creditore particolare del socio può chiederne però la liquidazione se gli altri beni del debitore sono insufficienti a soddisfare i suoi crediti, ma non è ammesso il pignoramento della stessa, ovviamente purchè le quote non siano liberamente trasferibili.

Per questo motivo abbiamo affiancato il cliente anche nella redazione dello statuto specificando bene la NON trasferibilità delle quote sociali se non con il consenso unanime di tutti i soci.

In buona sostanza, con la società semplice possiamo guidare il passaggio generazionale di un’azienda  e al contempo tutelare il patrimonio: doppio vantaggio per soggetti che fanno parte della stessa famiglia!

La società semplice è appetibile anche dal punto di vista fiscale

Una volta tranquillizzato sulla protezione del patrimonio della società semplice, ecco l’ultima domanda di ogni cliente: ma fiscalmente mi conviene? Indubbiamente si.

Va subito ricordato che, a differenza delle altre società (di persone e di capitali), la società semplice non è soggetto passivo IRAP, e alla stessa non è applicabile la disciplina delle società di comodo.

Nell’ipotesi di cessione di immobili, la plusvalenza che si genera sarà esente da imposta se la vendita viene effettuata dopo 5 anni dall’acquisto o dalla costruzione, dato che si configura come un reddito diverso al pari di una persona fisica che agisce non in regime d’impresa.

La società semplice con attività immobiliare è, inoltre, ammessa a fruire delle detrazioni per gli interventi di recupero del patrimonio edilizio.

Dulcis in fundo

Ogni socio, ovviamente, presta molta attenzione anche alla tassazione degli utili distribuiti dalla società partecipata.

Il reddito prodotto dalla società semplice è imputato per trasparenza ai soci in proporzione alla quota di partecipazione agli utili e indipendentemente dall’effettiva percezione (principio di trasparenza e di competenza).

La Legge di Bilancio 2020 ha generato un vantaggio in termini tributari, nell’attività di investimento in partecipazioni all’interno di una società semplice, come nel caso sopra esposto in merito alla partecipazione della società semplice nella Edera Srl.

Lo stesso prevede che gli utili percepiti dalla società semplice si intendono percepiti per trasparenza dai rispettivi soci (nel nostro caso Edera Srl), con conseguente applicazione del loro regime fiscale.

Il regime impositivo dipende dunque dalla natura dell’imposta e dalla qualità del socio.

Per i soggetti IRES, come Edera Srl, la quota degli utili della società semplice a loro imputabile è pari al 5% dei dividendi, (il 95% viene quindi escluso dalla formazione del reddito complessivo per il regime Pex).

I soci persone fisiche invece scontano ora una tassazione  del 26% tramite l’applicazione di una ritenuta a titolo d’imposta.

Posto che una società semplice, partecipata da una Srl e da una persona fisica al 50% ciascuna, distribuisce dividendi per 1.000, in soldoni il socio Srl tasserà solo 25 (5%) dei 500 percepiti mentre la persona fisica su 500 pagherà solo il 26%, al contrario di prima quando si vedeva costretta ad applicare a quel dividendo le aliquote progressive IRPEF per scaglioni.

Il Passaggio Generazionale non è un progetto semplice, ma questo è un modo per renderlo tale!

Gestione del patrimonio e assetto proprietario dell’impresa

Anche se può sembrare un concetto scontato, la tutela del patrimonio è il vero perno su cui ruota un Passaggio Generazionale.

Possiamo suddividere gli aspetti patrimoniali in diverse tipologie (GUARDA QUI) il cui grado di importanza varia a seconda della cultura e del sentiment di ogni imprenditore, ma alla fine tutto il progetto ha come stella polare la miglior gestione del “valore” di un’azienda o di uno studio professionale per poterlo un giorno tramandare  agli eredi. Quel patrimonio, ricordiamolo subito, non è solo economico, ma anche morale e la tangibilità è solo la forma che la storia imprenditoriale assume nel tempo.

La gestione del patrimonio nel progetto di PG è di solito molto articolata e complessa, non priva di rischi e a volte di difficile soluzione nell’ambito delle imprese familiari che dominano il tessuto imprenditoriale del nostro Paese.

Di queste ne possiamo individuare molteplici specie, ma tutte hanno tre componenti legate da un unico file-rouge: famiglia, impresa e patrimonio.

Quando si confonde famiglia e impresa

L’unione di questi tre fattori costituisce da sempre la loro forza anche se allo stesso tempo conduce alla “sovrapposizione istituzionale”.

Il grado di identificazione con l’impresa da parte del suo fondatore e la dimensione aziendale determinano la maggiore o minore sovrapposizione possibile tra la famiglia, l’impresa e la proprietà.

Le modalità stesse con cui nascono le imprese familiari portano a identificare l’impresa con il suo fondatore che, di solito, ne fa l’investimento unico o principale del patrimonio familiare.

Già dalle prime fasi di vita aziendale, nasce la sovrapposizione tra elementi patrimoniali e finanziari ed elementi psicologici ed emotivi.

Nella realtà dobbiamo sempre suddividere il sistema impresa dal sistema famiglia, se vogliamo ambire ad un Passaggio Generazionale ad hoc.

L’impresa ha un obiettivo di tipo economico, attraverso la creazione di valore, la generazione di utili per remunerare l’attività dell’imprenditore e compensare la sua assunzione di rischi.

La famiglia ha il compito di far crescere i suoi componenti, assicurargli benessere attraverso la redditività dell’impresa.

Le finalità che animano queste due tipologie di sistemi sono tutt’altro che incompatibili, visto che la famiglia provvede direttamente al soddisfacimento dei bisogni umani, mentre l’impresa vi provvede indirettamente.

Le finalità si scontrano però quando si cerca di subordinare quelle proprie della famiglia a quelle dell’impresa, o viceversa, quando si cercano di applicare alla famiglia le logiche di fondo dell’impresa.

Detto in maniera ancora più semplice, quando si confonde il ruolo e la funzione della famiglia con quello dell’impresa.

È questa la vera difficoltà da affrontare, che si amplifica in fase di attuazione del Passaggio Generazionale.

Come sosteniamo da sempre il PG è un processo e non un evento e come tale richiede una serie di azioni ben pensate e programmate per evitare alla fine di avere rimorsi e rimpianti.

Patrimonio e assetto proprietario: binomio imprescindibile

Ma che c’entra la gestione del patrimonio con tutto questo?

È la domanda che mi viene rivolta quasi sempre dall’imprenditore che si accinge, suo malgrado, a prendere in considerazione il Passaggio Generazionale.

Dentro di me so già che in questo modo tenta di porre ostacoli alla realizzazione di questo progetto e i motivi ormai li avete ben chiari!

A questo punto, apro la cassetta degli attrezzi del coach e comincio a fare domande anziché dare risposte, togliendo per un momento l’abito del consulente.

Voglio portare l’imprenditore a vedere da solo le criticità di una sovrapposizione dei sistemi impresa-famiglia affinché comprenda i rischi della gestione del patrimonio oggetto di PG in mancanza di una definizione dei confini tra proprietà, direzione e governo dell’impresa e la famiglia anteponga i suoi interessi a quelli dell’impresa stessa.

Si pensi, per esempio, alla rivalità fra i figli, o fra i cugini se a capo dell’azienda ci sono due fratelli che vogliono passare il testimone ai propri figli, o ancora alle rivalità fra la generazione del senior e quella dei successori junior, alla definizione di sistemi di retribuzione inadeguate o sproporzionate fra i membri della famiglia attivi nell’impresa.

Per concludere, con le criticità legali che una disomogenea titolarità di un patrimonio può generare, così come la distribuzione dei dividendi tra i soci non più in linea con gli assetti proprietari attuali.

Quando la famiglia proprietaria ha il compito della gestione e dello sviluppo dell’impresa dobbiamo esaminare con attenzione i molti aspetti coinvolti, da quelli relazionali, societari, tributari e del governo dell’impresa.

Ecco che l’imprenditore o il professionista cominciano a fare chiarezza sulla situazione attuale, punto di partenza essenziale per cominciare a mettere giù un progetto in base all’obiettivo che ciascuno si prefigge di raggiungere con il suo PG.

Un progetto di PG può essere diverso da un altro per le caratteristiche della famiglia, dell’impresa e delle persone coinvolte.

L’imprenditore deve essere permeabile, flessibile, dinamico per indirizzare la continuità della famiglia e dell’impresa attraverso regole nuove che le esigenze e la vision della nuova generazione impongono come conditio sine qua non.

Non esistono casi uguali tra loro, ma per progettare e pianificare la miglior gestione del patrimonio in funzione di un PG è doveroso concentrarsi su tre punti chiave e comuni a tutti.

In primo luogo, vanno compresi e risolti potenziali conflitti che la “sovrapposizione” fra famiglia e impresa genera automaticamente.

Poi vanno scelti corretti strumenti di governance familiare da puntualizzare in primis in un Accordo di Famiglia scritto e firmato dalle persone coinvolte.

In ultimo, va preparata la società al PG per accogliere una gestione del patrimonio che soddisfi sia le esigenze di vita della proprietà disponente, che si avvia verso la sua fase finale e quindi mirata alla serenità e a celebrare i successi di una carriera lavorativa, che quelle degli eredi designati al proseguimento dell’impresa o dello studio smaniosi di cavalcare le proprie idee imprenditoriali e allo stesso tempo garantirsi una qualità di vita che metta al centro se stessi e non il lavoro.

Quali strumenti per l’imprenditore?

In Italia oggi esistono molti strumenti a disposizione per passare dall’assetto societario e di direzione dell’impresa esistente a uno confacente a coinvolgere gli attori scelti della nuova generazione o ad escluderne altri, sterilizzando le criticità della “sovrapposizione” impresa-famiglia.

Io consiglio sempre di iniziare dalla stipula degli Accordi di Famiglia, una sorta di verbale scritto conseguente alle varie riunioni per confezionare un PG su misura, in cui si delinea e si approva il Progetto e gli strumenti per realizzarlo salvaguardando e integrando fra loro le volontà di famiglia e impresa.

Con cadenza trimestrale va poi fatto un Consiglio di Famiglia, da alcuni definito come la “voce” della famiglia, un tavolo in cui ognuno esprime i suoi valori, li discute e li condivide con gli altri componenti per creare quella identità familiare ed imprenditoriale.

Il Consiglio di Famiglia è utile per definire gli obiettivi periodici, capire in che direzione vogliamo andare, cosa fa ciascuno, che ruolo si ritaglia in quel progetto, come lo monetizza.

Per realizzare poi gli interessi successori del titolare o dei soci è importante conoscere il proprio statuto societario, per capire come modificarlo o integrarlo attraverso le cosiddette Clausole Statutarie e Patti Sociali.

Quando domando ad un imprenditore cosa prevede lo statuto della sua società in merito alla trasmissione delle quote tra vivi o dopo la loro morte, solo qualcuno ha una vaga idea e la maggior parte non lo ha nemmeno mai letto!

Il caso più emblematico che mi è capitato di leggere è che “in caso di morte di un socio la società viene messa in liquidazione” (questa azienda fatturava 20 milioni di euro all’anno!)

“Meditate gente, meditate” come diceva anni fa Renzo Arbore facendo pubblicità ad una birra.

In imprese familiari di piccole dimensioni l’elemento decisivo è l’intuito del titolare o dei soci e una caratteristica distintiva è la libera circolazione delle quote societarie, che in difetto può essere un vero ostacolo alla vita dell’impresa.

Dove domina l’intuitus personae si opterà per le clausole di consolidazione, con le quali si impone l’accrescimento delle quote del socio deceduto in capo ai soci superstiti, evitando così che l’ingresso in società di nuovi soci crei squilibri nella gestione aziendale minando la sua continuità.

Così come l’eccessiva frammentazione del capitale sociale fra una pluralità di eredi potrebbe causare contrasti frequenti.

Diverso effetto si raggiunge con la clausola di continuazione, in virtù della quale gli eredi del socio defunto sono obbligati a subentrare nella sua quota, salva la facoltà di rinuncia.

La clausola di prelazione è un altro modo di impedire l’ingresso in società di nuovi soci, prevedendo nello statuto che, laddove gli eredi del socio defunto intendono cedere le quote ereditate, dovranno preferire, a parità di condizioni, i soci superstiti.

Detto in un altro modo, queste clausole aiutano a regolare in via preventiva la trasmissione delle quote dei soci in seguito al loro decesso, conciliando quelli che sono gli accordi in vita con gli effetti dopo la morte.

Il che consente, chiudendo un altro cerchio, di creare le strade attraverso cui veicolare il patrimonio a chi si vuole e come si vuole, anche in maniera non proporzionale.

A questo punto possiamo affermare di essere sicuramente a metà dell’opera!

Abbiamo condiviso il progetto con tutti gli attori protagonisti, definito l’obiettivo, stabilito le regole: cosa manca per completare la strategia e passare all’azione, come si fa sempre nel coaching?

Dobbiamo esaminare gli istituti giuridici che il legislatore ci ha messo a disposizione (ed in Italia ce ne sono quanto basta per soddisfare qualsiasi esigenza) per realizzare il nostro Passaggio Generazionale, e questo lo faremo nel prossimo articolo attraverso casi pratici in cui l’imprenditore si riveda e si convinca dell’utilità di trasmettere il suo patrimonio nel modo più efficiente ed efficace possibile.

Perchè il modo migliore per gestire un patrimonio è farlo rendere al 100%.

Strumenti per valorizzare il patrimonio in azienda e in studio

Nel precedente articolo abbiamo parlato del Patrimonio aziendale, in particolare di quello economico, intellettuale, morale ed informativo (leggi anche “Diversi tipi di patrimonio: economico, intellettuale, morale, informativo“).

Il patrimonio aziendale garantisce identità e competitività, aumenta la referenzialità, e permette all’impresa di distinguersi sul mercato.

IL VERO PATRIMONIO

Il valore di un’impresa oggi non è più generato solo dalla sua struttura, dalla sua tecnologia e produttività, masi identifica sempre più nella conoscenza individuale e aziendale interconnesse nel tempo.

Le competenze interne all’azienda e il suo know how sono patrimonio unico e distintivo, così come il capitale umano è ciò che garantisce competitività e continuità all’azienda.

L’azienda vale anche per quello che sarà in futuro e non solo per il suo potenziale di oggi.

Il “patrimonio” permette all’azienda o allo studio professionale di essere “impresa” e di portare loro un vantaggio più o meno grande a seconda di come si riesce a valorizzarlo.

La sua valorizzazione permette di comunicare il proprio potenziale, e dal lato tecnico, di accrescere il capitale netto, di migliorare il rating bancario e abbassare il profilo di rischio.

COME VALORIZZARLO?

Facciamoci questa domanda: come possiamo valorizzare questo patrimonio?

Partiamo da un punto incontrovertibile: non si può migliorare ciò che non si conosce; a ciò possiamo anche aggiungere che non si può migliorare ciò che non si può misurare. Quindi, il primo passo, deve essere la mappatura del patrimonio aziendale e di studio.

La conoscenza è prodromica alle scelte, che per un imprenditore sono pane quotidiano.

Dobbiamo partire da ciò che siamo, da ciò che abbiamo, dal contesto in cui ci troviamo per decidere come consolidare, integrare, migliorare e cambiare per il futuro.

Il futuro si può costruire intenzionalmente solo se prima vive nella nostra testa, cioè siamo capaci di immaginarlo, per poi poterlo realizzare.

Per valorizzare il nostro patrimonio aziendale, inoltre, serve coraggio, curiosità, passione, amore per ciò che si fa e soprattutto avere una mente aperta. Oggi per gestire l’azienda non servono solo i macchinari, il progetto imprenditoriale, gli stakeholders, ma ci vogliono competenze specialistiche, bisogna essere tecnologici, digitalizzare i processi, avere velocità di pensiero e d’azione, avere a cuore il benessere dei collaboratori, ottenere il profitto anteponendo l’etica allo sfruttamento delle persone e dell’ambiente.

PARTIRE DALL’INTANGIBILE

Andando nel concreto, l’intelligenza artificiale entrerà in azienda prima di quanto possiamo immaginare, entro pochi anni i cobot, i collaboratori-robot, interagiranno con l’imprenditore, si faranno carico del problem solving.

Ci vuole quindi una nuova mentalità, una nuova organizzazione, una nuova vision!

L’imprenditore deve diventare un visionario, anticipare la concorrenza, pensare in grande, stupire gli altri e anche sé stesso.

Deve essere flessibile, “liquido” per adattarsi al nuovo scenario, avere consapevolezza del proprio compito in ogni momento, non prescindere mai dall’etica e dai suoi valori, creare abbondanza intorno a sè.

Deve indossare un nuovo “vestito”, addirittura cambiarlo più volte al giorno a seconda del contesto in cui è chiamato ad operare o del ruolo da assumere.

In questo modo migliorerà la propria azienda al suo interno e riuscirà a produrre valore per la società e gli stakeholder con cui interagisce.

GLI STRUMENTI

A questo punto qualcuno potrebbe dire che il discorso è bello, condivisibile, ma teorico. In concreto, cosa bisogna fare?

Partiamo dal capitale economico, tangibile, indispensabile per realizzare il prodotto e cominciamo a pensare alla sua innovazione: avere macchinari e strutture tecnologicamente all’avanguardia garantisce un maggior profitto.

Non ci incagliamo nel pensare ai costi di tale innovazione, teniamo a mente sempre una frase di un mio maestro: “guardare solo al costo dell’innovazione vuol dire non guardare al costo che ha non innovare!

Sostituiamo la parola costo con la parola investimento, in modo tale che a livello mentale possiamo spostare il focus dall’oggi al domani, dallo strumento al vantaggio.

E qui si arriva ad un altro fattore determinante da valorizzare: il capitale umano.

Con questo termine intendo le persone che collaborano (sostituiamo il verbo lavorano) al progetto aziendale, dal portiere, al magazziniere, all’operaio specializzato, al dirigente per arrivare al manager e all’amministratore delegato.

Prendiamoci cura del loro benessere al lavoro.

Oggi non è più accettabile che per raggiungere un profitto si possa sacrificare il benessere fisico e psicologico dei collaboratori!

La pandemia ha aiutato molte persone a guardare il lavoro non più come lo scopo principale della giornata, ma come una delle attività da fare nelle 24 ore; in altre parole, si cerca sempre più un bilanciamento tra vita e lavoro e non si è più disposti a vivere solo per lavorare.

IL PROGETTO

La nostra responsabilità è quella di creare un’avventura entusiasmante e sicura per le persone che collaborano in azienda, un’avventura a cui valga la pena dedicare la propria vita.

Dobbiamo poi dare un valido motivo al cliente che ci deve scegliere o al fornitore che ci dovrebbe dare la priorità o al mercato per credere nella nostra azienda.

Le nostre azioni e le nostre decisioni devono portare beneficio alla società, essere culturalmente desiderabili, avere un senso etico, essere ecologicamente responsabili, convincenti e trasparenti.

L’azienda deve essere basata su un sistema governato da principi e non più da regole.

I principi abbattono i confini, le regole li definiscono e limitano la possibilità di crescita.

Per ogni collaboratore deve essere previsto un percorso di crescita, fissati degli obiettivi, in modo tale che si senta parte integrante del progetto, e attraverso le competenze via via acquisite possa portare il suo contributo di idee in azienda.

Questo aumenta il coinvolgimento e l’attaccamento all’azienda e rafforza il senso di appartenenza.

L’imprenditore deve costruire un team, prendersene cura, aiutarlo a crescere e celebrare ogni volta i successi raggiunti.

È importante fare riunioni periodiche, sia informative che organizzative o di brainstorming, organizzare uno o due retreat all’anno per trascorrere insieme un week end in cui, accanto a momenti di formazione si possono creare attività ludiche e sportive piuttosto che pranzi, cene o eventi culturali.

DARE UN’IDENTITÀ

L’imprenditore deve creare un brand e sviluppare con cura la propria identità aziendale: è un passo decisivo e irrinunciabile per conquistare la fiducia del proprio pubblico, distinguersi ed emergere con credibilità sul proprio mercato di riferimento.

Costruire una brand identity significa innanzitutto comprendere chi si vuole essere e quali sono i propri obiettivi, per far conoscere il proprio marchio e i propri prodotti raccontando storie, episodi per trasferire contenuti

Le persone amano le storie, si immedesimano e seguono con maggiore facilità il messaggio che vogliamo trasmettergli.

Come dice sempre il mio maestro e amico Mario Alberto Catarozzo, formatore e business coach professionista, “le persone non comprano oggetti ma comprano stati d’animo! Ovvero come quell’oggetto li fa sentire, li fa stare”.

Senza questi elementi, il processo di acquisto può essere compromesso e guadagnare l’attenzione e la fiducia dei consumatori risulterà difficile.

IL PATRIMONIO DI CONOSCENZE

Un altro aspetto determinante è capire come in questo tipo di economia, basata su innovazione, velocità, globalizzazione e conoscenza, il sapere, il ”capitale intellettuale”, sia diventato la materia prima più preziosa di un’organizzazione: conoscenze, dati e  informazioni da aggregare, analizzare e interpretare permette alle aziende di perseguire i propri obiettivi e di produrre valore, costruendo la loro differenziazione sul mercato.

Le organizzazioni devono progettare e realizzare un processo di digital intelligence che si compone di consapevolezza, controllo e protezione delle informazioni che hanno a disposizione.

Un’azienda ha numerose informazioni a disposizione, ma deve sapere quali sono effettivamente utili, e poi valorizzarle e proteggerle.

Questo ci permette di mettere in atto azioni e misure concrete più adatte per una gestione ottimale dello specifico patrimonio informativo, in un’ottica di sviluppo del suo potenziale.

DIGITALIZZARE

Anche da questo non si può prescindere,

È un’opportunità per valorizzare l’eredità aziendale, per migliorare il lavoro quotidiano dell’impresa, rendendo agevole la fruizione dei documenti.

Il proprio passato si trasforma anche in un serbatoio accessibile di conoscenze a cui attingere per la ricerca e lo sviluppo di strategie aziendali e di nuovi prodotti.

Creare un progetto di digitalizzazione degli archivi e del proprio patrimonio storico offre due opportunità.

Da un lato trasforma l’archivio fisico in un asset digitale per l’azienda, che diventa strumento di ricerca e sviluppo e di promozione.

Dall’altro l’archivio digitalizzato e i suoi contenuti disponibili in rete offrono un patrimonio culturale a beneficio di tutti e permettono all’azienda di portare avanti politiche di responsabilità sociale e di sostenibilità.

In conclusione, non dobbiamo solo essere bravi, ma dobbiamo “monetizzare” le nostre qualità utilizzando tutti questi strumenti che il progresso e la nuova cultura aziendale ci mettono a disposizione.

Come ci insegna il coaching, dobbiamo agire, fare, mettere in pratica.

Nel prossimo articolo parlerò della “Gestione del patrimonio e dell’assetto proprietario dell’impresa

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